




il beato Jacopo da Varagine
prof.ssa Sandra Isetta, Università di Genova
E’ stato un genovese innamorato della sua città, sia in ambito ecclesiastico, con la riorganizzazione legislativa del clero, sia in ambito civico, dove si spese per mediare tra i partiti guelfo e ghibellino. Alla sua città dedica la Chronica civitatis Ianuensis.
La sua notorietà è legata alla Legenda aurea, che raccoglie 153 vite di Santi disposte nei tempi liturgici della Chiesa, in una visione globale e escatologica del cammino dell’umanità verso Dio. La storia, per Jacopo, è scandita e sacralizzata dall’azione dei Santi.
Jacopo da Varagine e le radici d’Europa
In tempi come i nostri, in cui l’Europa fatica a dare ragione di sé, credo sia utile tirare fuori dal cassetto il mai vetusto tema delle radici, non tanto per crogiolarsi nella nostalgia di ciò che “avremmo potuto essere” ma per rifondare su basi più solide ciò che “potremmo (e dovremmo) tornare ad essere”. Un modo relativamente semplice per farlo è individuare quei dieci o venti libri che stanno alla base del nostro sentire europeo. Tra questi, la “Legenda aurea”, straordinaria raccolta di vite di santi composta dal domenicano genovese Jacopo da Varagine nella seconda metà del XIII secolo, occupa senza dubbio un posto di riguardo.
Di questo pilastro della nostra cultura – siamo di fronte ad un autentico “bestseller” del tardo Medioevo: il numero degli esemplari manoscritti in cui ci è giunto, comprese le traduzioni nei principali vernacoli italiani ed europei, è infatti secondo soltanto alla Bibbia – ha dato conto sabato 15 dicembre, presso l’Oratorio di San Filippo Neri, la prof. ssa Sandra Isetta, docente di Letteratura cristiana antica presso l’Università degli Studi di Genova, nell’ambito della rassegna “Sermones 2012. Il Vangelo a Genova: storie di Fede” (che conclude il suo ciclo annuale dando appuntamento all’anno prossimo). Giovandosi della voce dell’attore Pietro Fabbri, che ha letto alcuni brani dell’opera, della ricchezza del canto gregoriano, che ha fatto da cornice all’intervento, nonché dell’immeritata presenza del sottoscritto nelle vesti di moderatore, la relatrice ha illustrato le vicende della vita di Jacopo e i molti segreti della sua opera più nota.
Che fosse di Varazze, non è certo. Anzi, è stata ampiamente dimostrata la presenza a Genova di una famiglia proveniente dalla Riviera che aveva ormai adottato la specificazione “da Varagine” in senso cognominale. Jacopo, dunque, nacque probabilmente a Genova tra il 1228 e il 1229. Nel 1244, ancora adolescente, entrò nel convento di San Domenico, demolito due secoli fa per dare posto al teatro Carlo Felice, indossando l’abito bianco e nero del grande canonico di Osma. Da buon genovese – e sappiamo quanto i Genovesi fossero allora “per il mondo destexi” – trascorse poco tempo nella sua città: nel 1267 gli fu affidato l’ufficio di priore della provincia domenicana di Lombardia, carica di assoluto prestigio che mantenne per circa un decennio e poi ancora tra il 1281 e il 1286, e che lo costrinse a lunghi viaggi tra l’Italia settentrionale, l’Emilia e il Piceno. Tra il 1283 e il 1285 esercitò anche le funzioni di reggente dell’Ordine dopo la morte di Giovanni da Vercelli. Nel 1292, per volere di papa Niccolò IV, fu infine elevato alla cattedra arcivescovile genovese, che resse sino alla morte, avvenuta il 13 o 14 luglio 1298.
La “Legenda aurea” – ha sottolineato la prof. ssa Isetta – può considerarsi una vera e propria “summa de tempore”, pari a quella di Tommaso d’Aquino (suo contemporaneo). Essa costituisce una meditazione non tanto sul tempo cronologico ma su quello del rapporto tra Dio e l’uomo. Jacopo suddivide le biografie dei santi lungo l’anno liturgico, unendo pertanto il “santorale” al “temporale”, dando in un certo senso avvio al moderno calendario. Anche se, beninteso, non siamo affatto di fronte a un calendario in quanto tale; tantomeno ad un catalogo agiografico. Grande attenzione è infatti posta alla dimensione escatologica. L’autore divide l’intera storia umana in quattro epoche: il tempo della deviazione, da Adamo a Mosé; il tempo del rinnovamento, da Mosé alla nascita di Cristo; il tempo della riconciliazione, da Pasqua a Pentecoste; il tempo della peregrinazione, quello della vita presente, “nel quale siamo come pellegrini in battaglia”. Il suo intento è quello di mostrare il modo in cui il Cristianesimo, attraverso i suoi santi, le sue feste e le sue solennità, ha saputo strutturare e sacralizzare il tempo della vita umana.
Un’opera elaborata, dunque. Certamente non un lavoro di critica storica, come avrebbero voluto i gesuiti bollandisti, studiosi delle biografie santorali, i quali in età moderna la condannarono senz’appello come “leggenda non d’oro, bensì di piombo”. Oggi è in atto un’autentica rivalutazione, a partire dal recente volume di Jacque Le Goff “A la recherche du temps sacré. Jacques de Voragine et la Légende dorée” (Paris, Perrin, 2011), il titolo della cui edizione italiana (“Il tempo sacro dell’uomo. La ‘Legenda aurea’ di Jacopo da Varazze”, Roma-Bari, Laterza, 2012) non rende giustizia alla sfumatura “proustiana” di quello francese. Il ché non vuole certo indicare che la sua lettura è da considerarsi “tempo perduto”: senza conoscere la “Legenda aurea” non è nemmeno lontanamente possibile immaginare di poter apprezzare i molti episodi di vite di santi effigiati nelle nostre chiese dagli artisti tre-quattrocenteschi che ad essa si sono ispirati. E’ dunque nostro compito adoperarci per riscoprire questo testo, e va dato atto a Sandra Isetta d’essersi impegnata in questo senso. La nostra cara Europa – Europa di santi e mercanti, di viaggi e pellegrinaggi, di cattedrali e porziuncole – ci parrà un po’ meno sconosciuta.
Antonio Musarra